Deep Work: rimanere concentrati nell’era della distrazione
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In un’epoca in cui l’approccio compulsivo all’uso del web e delle nuove tecnologie riduce sempre di più la nostra capacità di attenzione, la pratica del deep work promette di aiutarci a ritrovare la concentrazione.
Cosa si intende per deep work?
Il deep work è la soluzione proposta da Cal Newport, docente di Informatica presso la Georgetown University, al problema di come rimanere concentrati e produttivi in una società che adotta, anche nei confronti del lavoro, un approccio sempre più superficiale. Nel suo libro Deep Work: Rules for Focused Success in a Distracted World, del quale purtroppo non esiste ancora una traduzione italiana, egli spiega che il vero segreto della produttività è la capacità di dedicarsi con la massima attenzione a un singolo compito per periodi prolungati, evitando ogni distrazione. Newport ha coniato il termine deep work (‘lavoro profondo’) proprio per descrivere questo approccio al lavoro che si contrappone allo shallow work (‘lavoro superficiale’), in cui ci si dedica a compiti che non richiedono una concentrazione intensa, spesso passando rapidamente da un’attività all’altra in un improduttivo multitasking.
Newport ritiene infatti che il più grande nemico della produttività e della concentrazione sia rappresentato dal cosiddetto attention residue (o residuo di attenzione) generato dall’alternare ripetutamente attività diverse nel corso della giornata lavorativa. Come evidenziato da uno studio del 2009, quando passiamo da un compito a un altro la nostra attenzione non si sposta immediatamente sulla nuova attività, ma parte di essa rimane bloccata sul compito originale. L’accumularsi di questi ‘residui di attenzione’ non fa altro che frammentare la nostra concentrazione e ci rende più difficile resistere alle distrazioni.
La pratica del deep work per vivere meglio
Per Newport, tuttavia, il deep work è più di un semplice metodo per stimolare la produttività ed è prima di tutto uno strumento in grado di aumentare la nostra soddisfazione sul lavoro e aiutarci a raggiungere un migliore equilibrio fra lavoro e vita privata. Come? Basandosi sui risultati di recenti ricerche, Newport spiega che quando siamo profondamente concentrati su qualcosa siamo meno portati a far caso alle piccole seccature quotidiane e sperimentiamo al contrario un profondo senso di benessere dato dalla consapevolezza di aver investito bene il nostro tempo. Per questo più tempo passiamo dedicandoci a qualcosa che riteniamo importante con la massima concentrazione, più ci sentiamo felici e appagati.
La pratica del deep work rende anche più facile raggiungere lo stato di flow, ovvero quello stato di intensa concentrazione focalizzata sul momento presente che si accompagna a una totale armonia fra pensiero e azione, generando un profondo senso di gratificazione e benessere. Il deep work è inoltre in grado di farci ritrovare la motivazione perduta: lavorare con concentrazione significa infatti anche riconoscere l’importanza di ciò che stiamo facendo e la consapevolezza di star dedicando il nostro tempo a qualcosa di significativo è un elemento chiave per rimanere motivati sul lavoro.
Coltivare l’abitudine al deep work
Cal Newport spiega che per trasformare il deep work da un’aspirazione a una pratica quotidiana, è necessario creare una serie di routine e rituali pensati per minimizzare lo sforzo di volontà richiesto per mantenere uno stato di concentrazione ininterrotta. Adottare una routine associata ai momenti di deep work permette infatti, con la pratica, di rendere automatici alcuni processi cognitivi e soprattutto segnala al nostro cervello che stiamo per dedicarci a qualcosa di importante che richiederà la nostra massima attenzione.
Nel progettare la nostra routine dovremmo pensare prima di tutto agli aspetti pratici, a partire da dove e quando ci dedicheremo al deep work. L’ideale sarebbe poter riservare al lavoro profondo uno spazio apposito, ma in mancanza di questa possibilità anche fissare dei veri e propri ‘appuntamenti’ dedicati al deep work aiuta a circoscrivere lo spazio mentale dedicato a queste sessioni e a tenerle separate dal resto delle nostre attività. Una routine efficace dovrebbe definire, oltre a dove e quando lavoreremo, anche come ci approcceremo al lavoro nel corso delle nostre sessioni: potremmo ad esempio decidere di imporci alcune regole per tutelare la nostra concentrazione, come bloccare l’accesso al web o affidare temporaneamente la gestione delle chiamate a un servizio esterno.
Avere una routine non serve solo a segnalare l’inizio delle sessioni di deep work, dovremmo infatti adottare anche un rituale di chiusura che segni la fine del periodo di lavoro profondo. Così facendo, aiuteremo il cervello a ‘staccare’ dall’attività a cui ci stavamo dedicando e minimizzeremo il fenomeno dell’attention residue, il che ci permetterà di recuperare più rapidamente le energie mentali per il giorno successivo. Questo perché la nostra capacità di deep work è limitata nel tempo e per la maggior parte di noi non è possibile lavorare con la massima concentrazione per più di quattro-cinque ore di seguito. Un rituale di chiusura efficiente dovrebbe includere una breve ricapitolazione del lavoro svolto e una valutazione dei risultati ottenuti, per poi concludersi con la pianificazione delle attività da svolgere nella successiva sessione di deep work.