Workaholics: quando il lavoro diventa una malattia

Workaholics: quando il lavoro diventa una malattia

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Il fenomeno della dipendenza da lavoro è in forte aumento in tutto il mondo, ma la colpa non è solo della tecnologia.

Millenial statunitensi malati di lavoro

Una notizia diffusa da ANSA ha rilanciato l’allarme sui pericoli della dipendenza da lavoro: secondo i risultati di un recente studio condotto da FreshBooks negli Stati Uniti il 66% dei millennial , gli appartenenti alla generazione nata fra gli anni ottanta e novanta, si ritiene un workaholic. Il 56% degli intervistati ha inoltre dichiarato di lavorare più di 40 ore alla settimana (con picchi di 60 ore) e di dedicarsi regolarmente al lavoro anche nei fine settimana (70%) e durante i periodi di malattia (63%).

Cos’è la dipendenza da lavoro?

Scoprire che la tendenza a lavorare eccessivamente è in crescita fra le nuove generazioni potrebbe far pensare che si tratti di un’estensione del fenomeno della dipendenza tecnologica, ma quello dei malati di superlavoro non è un problema nuovo. Il termine workaholic è stato infatti coniato nel 1971 dallo psicologo Wayne Oates per descrivere “la compulsione incontrollabile a lavorare incessantemente”. Chi soffre di dipendenza da lavoro trascorre lunghe giornate alla scrivania e non riesce a smettere di pensare al lavoro neppure nei momenti di riposo. Vacanze, tempo libero e persino i rapporti personali vengono messi da parte per dedicarsi al lavoro, con il rischio di conseguenze gravi sia per il benessere fisico (aumento del rischio di ipertensione e sindrome metabolica) che mentale (ansia, depressione, insonnia).

Il ruolo della tecnologia e la mentalità always on

Nonostante il fenomeno dei workaholic non sia nuovo ed esistesse già prima delle recenti innovazioni nel settore IT, il diffondersi di tecnologie che consentono di rimanere sempre collegati a internet e ai servizi di messaggistica favorisce il diffondersi di una mentalità always on per cui essere sempre online non è più solo una possibilità, ma diventa un vero e proprio imperativo. Ed è fin troppo facile che questo finisca per estendersi anche al lavoro: portatili e smartphone consentono di avere sempre l’ufficio a portata di mano e così i momenti di lavoro si dilatano e inghiottono anche gli spazi dedicati alla vita privata, insieme alle troppe ore trascorse davanti allo schermo di un dispositivo.

I liberi professionisti la categoria più colpita

Come abbiamo avuto occasione di evidenziare in un precedente articolo, nel nostro paese la categoria esposta al maggior rischio di dipendenza da lavoro è quella dei liberi professionisti. Secondo uno studio dell’Australian Institute of Business le caratteristiche di flessibilità e autonomia della libera professione si trasformano facilmente in fattori di rischio per la dipendenza da lavoro e per la sindrome da burnout. I dati evidenziano infatti come sentirsi padroni del proprio tempo possa far perdere di vista più facilmente la necessità di raggiungere un buon equilibrio fra lavoro e tempo libero e come la ricerca di autonomia professionale possa condurre rapidamente all’isolamento.

Come riconoscere un workaholic

Come sottolineato nella guida della Società Italiana di Intervento per le Patologie Compulsive, è importante ricordare che non sempre la tendenza a lavorare troppo è un sintomo della dipendenza dal lavoro, ma quando lo diventa il processo è spesso graduale. È possibile riconoscere una prima fase iniziale in cui i pensieri si concentrano sempre più spesso sul lavoro, trascurando gli amici, la famiglia e i propri interessi, e il tempo passato in ufficio aumenta sensibilmente. A questa fa seguito una seconda fase critica in cui la persona trova ogni giustificazione per dedicarsi al proprio lavoro e si sente sotto stress quando non può farlo, tanto che in questa fase si manifestano i primi sintomi fisici: pressione alta, gastrite, insonnia. Nella terza fase, quella cronica, l’individuo è completamente assuefatto al proprio stile di vita e trascorre quasi tutto il suo tempo da sveglio al lavoro, con ripercussioni gravi sulle relazioni personali e sintomi psicologici come ansia, depressione e irritabilità.

Come combattere la dipendenza da lavoro

Il modo migliore di contrastare la tendenza al superlavoro è quello di coltivare  un sano equilibrio fra lavoro e vita privata, a partire dall’approccio con la tecnologia: mantenere vita lavorativa e vita personale separate anche sul piano digitale è il primo passo per allontanare la tentazione a occuparsi delle questioni lavorative anche durante il proprio tempo libero.

Se invece pensiamo di essere dipendenti dal lavoro, dobbiamo prima di tutto acquisire consapevolezza sui motivi che ci hanno portati a dedicarci al lavoro escludendo tutto il resto, come ad esempio una cronica insoddisfazione che riguarda altri aspetti della nostra vita. Il consiglio degli psicologi che si occupano di dipendenze è quello di affidarsi a un percorso psicoterapeutico in grado di aiutarci a mettere in luce le cause della dipendenza e riacquistare gradualmente la serenità.