Ridurre l’orario di lavoro rende più produttivi?
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Otto ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire: lo slogan coniato nel 1855 dalle organizzazioni per i diritti dei lavoratori australiani si è trasformato nel tempo in vera e propria regola aurea per i paesi industrializzati, ma lavorare otto ore al giorno è il modo migliore di sfruttare il nostro potenziale produttivo?
L’evoluzione della giornata lavorativa
Al giorno d’oggi riteniamo normale che un lavoro a tempo pieno occupi otto ore al giorno per cinque giorni alla settimana, ma le origini di questa pratica sono relativamente recenti: dopo l’avvento della Rivoluzione Industriale, gli operai delle prime fabbriche lavoravano dalle 12 alle 18 ore, sei giorni su sette.
Solo decenni di lotte e rivendicazioni da parte dei lavoratori di tutto il mondo hanno, seppur lentamente, portato all’adozione della moderna giornata lavorativa da otto ore, formalizzata soltanto a partire dal 1937 ma adottata già da inizio Novecento da aziende all’avanguardia come la Ford.
Fu infatti proprio l’esempio di Ford a convincere molti datori di lavoro dei benefici della riduzione dell’orario: nel 1914 la Ford decise di ridurre i turni dei propri dipendenti a otto ore e contemporaneamente raddoppiò lo stipendio giornaliero: il risultato fu un aumento della produttività e dei profitti tale da indurre altre compagnie a seguirne l’esempio.
Da allora, le otto ore lavorative giornaliere sono diventate uno standard pressoché internazionale, anche se i dati OCSE sulle ore annue lavorate mostrano una scarsa uniformità fra i paesi membri ed evidenziano una sorprendente tendenza: gli stati in cui si lavora meno sono anche quelli con il PIL più alto.
Ore di lavoro e produttività: cosa dice la ricerca
La ricerca scientifica si è occupata più volte di studiare il legame fra produttività e ore di lavoro: già nel 2013 uno studio della Stanford University aveva messo in luce come fra ore di lavoro ed effettiva produttività esistesse un rapporto non-lineare per cui superate le 48 ore settimanali, a un numero maggiore di ore lavorate non corrisponde un aumento della produttività, ma al contrario una sua drastica riduzione.
Che lavorare troppo a lungo sia deleterio per la salute era già stato dimostrato dai risultati di uno studio pubblicato su The Lancet che ha analizzato i dati provenienti da 600 mila lavoratori, monitorati per oltre otto anni: chi è solito lavorare 50 o più ore a settimana vede innalzarsi vertiginosamente il proprio rischio di ictus, tumori e malattie cardiovascolari.
Un successivo studio dell’Università di Melbourne in cui gi autori hanno analizzato i dati relativi a un campione di oltre 6.000 lavoratori, valutandone le abitudini lavorative e lo stato di salute, ha evidenziato una riduzione delle facoltà cognitive e della produttività in chi lavora più di 25 ore a settimana.
Tuttavia, il declino nella capacità di memoria e concentrazione osservato quando si superano le 5 ore lavorative giornaliere è causato, in parte, anche dal cosiddetto tecnostress , ossia lo stress dovuto alla necessità di gestire l’enorme quantità di informazioni alle quali siamo esposti nell’era digitale.
Riduzione dell’orario: gli esperimenti di Svezia e Olanda
La Svezia è stato uno dei primi paesi a sperimentare la riduzione dell’orario: a partire dal 2014 le infermiere della clinica Svartedalens di Gothenburg hanno lavorato per 6 ore al giorno, anziché 8, mantenendo lo stesso stipendio. I risultati pubblicati nel 2017 indicano che i dipendenti con orario ridotto sono stati più produttivi e hanno goduto di una salute migliore.
In Olanda, uno dei paesi europei con il più alto livello di benessere, quasi il 30% degli uomini e oltre il 70% delle donne hanno scelto di lavorare part-time (meno di 36 ore a settimana), quando è stata loro offerta la possibilità, con ripercussioni positive sia sulla salute che sui livelli di produttività.
Benefici per i lavoratori, dunque, ma anche per l’economia dei paesi che scelgono di adottare orari ridotti: come sottolineato in un articolo di Micromega sul tema, «il tempo dedicato al lavoro (…) è un indicatore di benessere della società e del sistema economico in generale», non solo perché le società che hanno ridotto gli orari di lavoro hanno registrato una significativa crescita in termini di PIL, ma soprattutto perché «il tempo liberato dal lavoro produttivo (permette) di sostenere la crescita e il consumo di beni e servizi.»