OCSE: l’Italia è impreparata ad affrontare il futuro digitale
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Il progresso tecnologico sta trasformando la società e il mondo del lavoro, ma le innumerevoli opportunità offerte dalla digitalizzazione sono accessibili solo a chi possiede le competenze necessarie per poterle sfruttare.
L’OCSE, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, ha recentemente pubblicato la relazione Skills Outlook 2019 sulle competenze digitali dei cittadini dei 29 paesi membri e i dati relativi all’Italia non lasciano spazio a dubbi sull’arretratezza del nostro paese in materia di digital skills. Il rapporto, che oltre alle competenze misura anche l’esposizione digitale e le politiche del governo in materia di formazione, mostra che la popolazione italiana non possiede le competenze di base necessarie per prosperare in un mondo e in un’economia sempre più digitali. Secondo i dati OCSE, solo il 36% degli italiani è in grado di utilizzare Internet in maniera complessa e diversificata, la percentuale di gran lunga più bassa fra tutti i paesi esaminati. Questo significa che quasi due terzi della popolazione non sono capaci di fare della rete e degli strumenti digitali un uso avanzato, tanto nell’ambito del lavoro che della vita privata.
La mancanza di formazione e il rischio automazione
Anche se la maggior parte degli italiani usa le cosiddette Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione nell’ambito del proprio lavoro, i dati OCSE mostrano che l’utilizzo che si fa delle nuove tecnologie nel nostro paese è molto meno frequente e sistematico rispetto agli altri stati membri e questo rende la nostra economia maggiormente impreparata ad affrontare le sfide della digitalizzazione.
Stando ai dati del rapporto, il 13,8% dei lavoratori italiani è esposto a un alto rischio di automazione, al rischio cioè di vedere la propria posizione professionale scomparire a seguito dell’introduzione di macchinari e software in grado di sostituire gli esseri umani. La formazione, soprattutto quella che riguarda il mondo digitale, continua a rimanere uno dei principali ostacoli a una massiccia riqualificazione dei lavoratori minacciati dall’arrivo dell’automazione. Secondo gli esperti dell’OCSE, percorsi formativi di durata inferiore a un anno sarebbero sufficienti per permettere a questi lavoratori di passare a tipologie di impiego con un minor rischio di automazione, ma solo il 20% dei lavoratori ad alto rischio viene coinvolto in iniziative di formazione, la percentuale più bassa dopo quella della Grecia. La situazione non migliora se si considera il resto della popolazione: nell’ultimo anno, solo il 30% degli adulti italiani ha ricevuto un qualche tipo di formazione continua, contro una media OCSE del 42%.
Anche i professionisti sono esposti al rischio automazione
Siamo abituati a pensare che il rischio automazione coinvolgerà quasi esclusivamente i lavori non specializzati, ma la realtà è che l’avvento delle intelligenze artificiali trasformerà radicalmente anche i settori altamente specializzati. La tecnologia non è infatti soltanto destinata a sostituire i lavoratori umani ma è sempre più spesso progettata per fare da complemento a questi ultimi, il che significa che la capacità di servirsi degli strumenti digitali diventerà indispensabile in tutti i settori dell’economia.
Come già sottolineato in un precedente articolo, ad esempio, molte delle attività finora svolte dai professionisti del settore legale possono oggi essere delegate alle intelligenze artificiali. Esistono infatti programmi basati sul machine-learning in grado di esaminare i contratti legali e ridurre dal 20% al 60% il tempo necessario per la revisione di questi ultimi da parte di un professionista umano. Come sottolinea anche il rapporto OCSE, intelligenze artificiali come Ross Intelligence, un derivato del famoso Watson creato da IBM, sono in grado di rispondere a quesiti legali in maniera più rapida e completa degli avvocati in carne e ossa e uno studio ha calcolato che se questi strumenti venissero adottati in massa dagli studi legali il numero di ore di lavoro necessarie da parte dei professionisti calerebbe di almeno il 13%.
A mancare non sono solo le competenze informatiche
Il dato più preoccupante messo in luce dal rapporto è quello che riguarda la diffusione dell’analfabetismo di ritorno: nonostante l’alto tasso di scolarizzazione del nostro paese, se si considera la popolazione di età compresa fra i 16 e i 65 anni, solo un italiano su cinque possiede un livello sufficiente di alfabetizzazione e capacità di calcolo, il terzo peggior risultato di tutta l’area OCSE. Il problema è estremamente grave perché, come sottolinea anche il rapporto, per adattarsi alla trasformazione digitale sono necessarie, oltre alle competenze informatiche di base, anche capacità cognitive e relazionali che rendano possibile vivere e imparare in un ambiente digitale e in un mondo che fa un uso sempre più massiccio della tecnologia. Senza adeguate capacità cognitive, ad esempio, è impossibile svolgere attività complesse (peraltro meno esposte al rischio automazione), ma diventa anche difficile navigare le fonti di informazione e soprattutto è pressoché impossibile tutelare la propria sicurezza informatica e la propria privacy, riconoscendo ed evitando i comportamenti a rischio.