Il lavoro in remoto è destinato a diventare la norma?

Il lavoro in remoto è destinato a diventare la norma?

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La situazione di emergenza dovuta all’epidemia di COVID-19 ha costretto molte aziende a una corsa contro il tempo per adattarsi alle esigenze del lavoro in remoto. Con il ritorno alla normalità, cosa possiamo aspettarci?

Il lavoro a distanza nell’era del COVID

In Italia prima dell’epidemia di COVID-19 erano solo 500.000 i lavoratori in remoto, a dispetto delle molteplici iniziative lanciate dal governo per promuovere lo smart work, come la legge 81 del 2017 dedicata proprio al Lavoro Agile. I limiti imposti dallo stato di lockdown hanno però accelerato il processo di adozione del lavoro in remoto e di altre modalità di lavoro alternative alla presenza fisica in ufficio. Durante la Fase 1, sono stati infatti più di 8 milioni i lavoratori italiani, sia privati che pubblici, che si sono connessi al proprio ufficio a distanza. L’enorme impatto del fenomeno pandemia sull’adozione del lavoro in remoto è stato confermato anche dai dati pubblicati dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano: il rapporto rivela che a marzo 2020 il 94% delle PA, il 97% delle grandi imprese e il 58% delle PMI ha adottato il telelavoro come modalità principale.

A dispetto dei timori iniziali, spesso generati dai falsi miti sul lavoro da casa, la scelta di lavorare a distanza si è rivelata vincente tanto per le aziende che per gli stessi dipendenti. Stando ai risultati di una recente ricerca di Microsoft non solo la massiccia adozione del telelavoro ha portato a un aumento significativo della produttività ma ha anche influito positivamente sul benessere dei lavoratori, più del 60% dei quali ha infatti dichiarato di voler continuare a lavorare a distanza anche dopo la fine dell’emergenza.

Il fenomeno del lavoro in remoto è destinato a crescere

Secondo la relazione 2020 dell’Osservatorio Smart Working il lavoro agile e il lavoro in remoto sono fenomeni destinati a riconfigurare radicalmente il futuro del lavoro. Anche se con l’allentarsi delle restrizioni gli smart worker nel nostro paese sono scesi a poco più di 5 milioni, l’Osservatorio stima infatti che la ‘nuova normalità’ sarà rappresentata da una modalità lavorativa ibrida, in cui si alterneranno presenza in ufficio e lavoro in remoto.

Le stime del Politecnico prevedono che il 70% delle imprese di grandi dimensioni aumenterà il numero di giornate di lavoro a distanza settimanali, una previsione che sembra aver trovato conferma nelle recenti dichiarazioni di aziende come Eni, Enel e Unicredit che si dicono pronte ad adottare lo smart work come modalità principale per almeno un terzo dei propri dipendenti. Anche la Pubblica Amministrazione ha investito nel potenziamento del lavoro agile: nei prossimi anni almeno il 30% dei lavoratori statali avrà accesso a una postazione remota e l’obiettivo è quello di far diventare questa nuova modalità di lavoro la norma, anziché un’eccezione.

Un’arma contro il cambiamento climatico?

Un’adozione di massa del lavoro in remoto potrebbe rappresentare anche uno strumento decisivo per combattere il cambiamento climatico. Come evidenziato da un recente rapporto di ENEA, l’agenzia governativa per le tecnologie e lo sviluppo sostenibile, il passaggio al telelavoro durante il periodo di lockdown ha permesso di risparmiare carburante per quasi 4 milioni di euro nel solo ambito della Pubblica Amministrazione. Meno chilometri percorsi, meno benzina e dunque meno emissioni, che si traducono in una migliore qualità dell’aria.

Recentemente il governo francese ha persino valutato la possibilità di introdurre l’obbligo di lavorare in remoto per almeno uno o due giorni alla settimana, una decisione dettata soprattutto dalla volontà di ridurre le emissioni legate al traffico e alle attività produttive in genere.

Una trasformazione rapida, ma non uniforme

È importante tuttavia sottolineare che il lavoro remoto rimane ancora un’opzione non praticabile da tutti: non soltanto sono necessarie infrastrutture adeguate, che spesso dipendono dal livello di avanzamento tecnologico del paese in cui si opera, ma ci sono anche settori che sono più adatti di altri ad adottare il lavoro a distanza. Questo significa che paesi tecnologicamente più avanzati saranno più inclini a promuovere e adottare il lavoro agile e con esso la possibilità di lavorare in ambienti diversi dall’ufficio.

Secondo un sondaggio di GlobalWebIndex quasi il 75% dei cosiddetti knowledge worker (cioè coloro che operano principalmente sulla base delle proprie conoscenze teoriche o specialistiche) potrebbe infatti già lavorare da remoto su base fissa. Tuttavia, se in India questa percentuale tocca l’80%, in paesi come l’Italia scende drasticamente. Inoltre, mentre l’87% dei dipendenti nei settori dell’informatica e delle comunicazione è già in grado di lavorare da casa, per coloro che sono impiegati in settori come la sanità, l’istruzione e i servizi al pubblico le possibilità di lavoro in remoto sono invece molto più ridotte. Come sottolineato nel rapporto dell’Osservatorio Smart Working, per superare gli ostacoli che ancora esistono alla diffusione del lavoro a distanza nel nostro paese, serviranno investimenti mirati e politiche a supporto delle aziende.