Distrazioni sul lavoro: quali sono le più odiate?
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Uno studio rivela quali sono le fonti di distrazione più fastidiose per chi lavora in ufficio.
Undici minuti. Questa, secondo i risultati di uno studio della University of California, è la frequenza con cui l’impiegato medio cade vittima delle distrazioni. Il tempo necessario per ritrovare la concentrazione è invece più del doppio: dopo ogni interruzione servono infatti oltre 25 minuti per rimettersi al lavoro. Non sorprende quindi che le distrazioni finiscano per farci perdere in media oltre due ore e mezza al giorno e che tre persone su quattro siano convinte che sarebbero in grado di lavorare più a lungo e più produttivamente se il loro datore di lavoro facesse di più per ridurre al minimo le interruzioni in ufficio.
Quella della distrazione è infatti una vera e propria piaga degli uffici moderni: il 99% dei lavoratori dipendenti riferisce di esserne vittima quotidianamente e più della metà ritiene che questo tipo di interruzioni riduca significativamente la produttività e influisca negativamente sulla qualità del lavoro. A rivelarlo sono i risultati di un sondaggio di Future Workplace, condotto su un campione di oltre 5.000 dipendenti provenienti da undici paesi diversi, fra cui Stati Uniti, Germania, Francia e Spagna.
Tutta colpa dei colleghi?
Secondo gli intervistati da Future Workplace, i colleghi sono la principale causa di distrazione: il 76% dei dipendenti coinvolti nel sondaggio ha infatti messo al primo posto nella classifica delle distrazioni più irritanti i colleghi che parlano al telefono a voce alta in ufficio, mentre per il 65% il fastidio maggiore è provocato dalle conversazioni fra colleghi che si svolgono nelle vicinanze della propria scrivania. Lo squillo del telefono e i suoni di notifica dell’arrivo di email o messaggi si piazzano invece al terzo posto della classifica, confermando ancora una volta come la presenza di smartphone e telefoni cellulari in ufficio sia uno dei principali nemici della produttività. Il dato sorprendente, tuttavia, riguarda l’impatto dei rumori esterni e ambientali, che benché responsabili di un significativo aumento nei livelli di stress dei dipendenti sono unanimemente considerati meno fastidiosi delle chiacchiere dei colleghi e dei meeting che si svolgono in prossimità della propria postazione. Secondo Alan Hedge, professore di ergonomia del lavoro presso la Cornell University, si tratta di un fenomeno del tutto fisiologico: il nostro cervello si è evoluto in modo tale da renderci particolarmente sensibili e attenti nei confronti dei segnali e dei suoni prodotti dai nostri simili, sia per questioni di sopravvivenza che di socialità. In altre parole, è più facile ignorare il rumore prodotto da macchinari e altre sorgenti inanimate, piuttosto che il suono delle voci umane. Per questo quando lavoriamo ascoltando musica veniamo più facilmente distratti dai brani cantati rispetto ai quelli strumentali: la nostra attenzione tende automaticamente a focalizzarsi sul testo della canzone che stiamo ascoltando, distraendoci dal compito nel quale siamo impegnati.
Ecco dunque che i rumori esterni e i suoni prodotti da stampanti, fotocopiatrici e altri macchinari da ufficio si trovano agli ultimi posti della classifica delle distrazioni più fastidiose, mentre le attività dei colleghi sono fra quelle considerate in assoluto più irritanti: dalle festicciole di compleanno alle visite dei familiari, dall’abitudine di consumare il pranzo alla scrivania a quella di prendersi una pausa nell’area relax o nella cucina comune, le distrazioni attribuite ai colleghi sono considerate peggiori di tutte le altre sia per frequenza che per impatto.
Una questione generazionale
L’ubiquità delle lamentele per le distrazioni causate dai colleghi sembrerebbe indicare che la maggior parte degli impiegati opterebbe volentieri per un ufficio tradizionale rispetto ai sempre più diffusi open space, ma in realtà la preferenza sembra essere di natura generazionale. Nonostante i più alti livelli di rumore, gli uffici condivisi sono i preferiti dai millennial e dagli appartenenti alla cosiddetta generazione z (ovvero quella dei nati dopo il 1995) che affermano di sentirsi più produttivi negli ambienti in cui la collaborazione e lo scambio fra colleghi sono facilitati dall’assenza di barriere fisiche. I lavoratori più giovani sembrano anche più abituati a gestire le distrazioni provocate da un ambiente rumoroso: il 35% trova che sia sufficiente ricorrere a delle cuffie antirumore e ascoltare musica per riuscire a cancellare sia i rumori provenienti dall’esterno che quelli prodotti dai colleghi. Per le generazioni precedenti, come quella dei baby boomer, la questione è più complessa: non solo più della metà di questi lavoratori dichiara di riuscire a dare il meglio soltanto in condizioni di bassa rumorosità, ma soltanto il 16% di essi ricorre alle cuffie isolanti per proteggersi dall’eccessivo rumore ambientale in ufficio. Abituati a svolgere il proprio lavoro esclusivamente alla scrivania, i baby boomer sono anche meno inclini a spostarsi dalla propria postazione in cerca di tranquillità, mentre il 40% dei millennial non ha alcun problema a lavorare in ambienti meno convenzionali, come la cucina comune o l’area relax, quando questi sono in grado di offrire più silenzio e maggiore concentrazione.