Benessere dei dipendenti: quando la felicità diventa produttività

Benessere dei dipendenti: quando la felicità diventa produttività

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Perché compagnie come Netflix, Google e Ferrero scelgono di dedicare una percentuale considerevole dei propri investimenti a massimizzare la felicità e la soddisfazione dei dipendenti? 

La risposta è semplice: un dipendente felice è un dipendente più produttivo, più interessato all’andamento dell’azienda e più leale nei confronti del proprio datore di lavoro. Secondo uno studio condotto nel 2015 dalla Social Market Foundation, uno dei più importanti thinktank del Regno Unito, un dipendente felice è il 22% più produttivo rispetto a un lavoratore insoddisfatto e il 12% più produttivo rispetto alla media.

Il costo dell’insoddisfazione dei lavoratori per le aziende

La soddisfazione e la felicità dei dipendenti non sono soltanto una questione di benessere personale, ma possono al contrario ripercuotersi significativamente sull’andamento economico di un’azienda. Secondo un rapporto redatto da Gallup, le aziende americane perdono oltre 450 miliardi di dollari all’anno a causa della mancata produttività riconducibile alla scarsa soddisfazione dei propri dipendenti.

Forse per questo, sempre più aziende scelgono di investire attivamente nella felicità dei lavoratori e l’esempio più sorprendente viene dal Giappone, un paese famoso per la sua cultura corporativa rigida e gerarchica, dove grazie alla guida di società di consulenza come la Achievement Group si sta diffondendo un nuovo modo di pensare alla produttività, che tiene conto del ruolo giocato dal benessere dei lavoratori. Poiché, secondo le statistiche, investire nella felicità dei dipendenti significa aumentare il fatturato e la soddisfazione dei clienti, riducendo al contempo l’assenteismo e il turnover.

La felicità sul lavoro? È anche una questione di coinvolgimento

Il livello di benessere dei lavoratori non è l’unica metrica di cui tener conto quando si parla di produttività: il rapporto di Gallup sottolinea infatti come anche il livello di coinvolgimento dei dipendenti nella gestione e nelle politiche aziendali sia un fattore estremamente influente sulla produttività generale. Da un lato perché il dipendente attivamente coinvolto nell’andamento della compagnia è più incline a dare il massimo, dall’altro perché il sentirsi parte dell’organizzazione aumenta la sua lealtà nei confronti dell’azienda e lo rende meno propenso a cercare un nuovo lavoro.

Alla luce di queste considerazioni, i risultati dell’indagine non sono confortanti: solo un lavoratore su tre si sente coinvolto e partecipe del destino della compagnia per la quale lavora. Tuttavia le aziende sembrano ancora incapaci di comprendere l’importanza di investire nella fidelizzazione dei propri dipendenti, ancor prima che dei propri clienti. Ma in un mercato del lavoro estremamente volatile come quello odierno, in cui quasi il 40% delle aziende dichiara di far fatica a trovare talenti per ricoprire le posizioni aperte, la fidelizzazione dei dipendenti diventa un elemento chiave per il successo.

Cosa vogliono davvero i lavoratori?

Come abbiamo spiegato in un precedente articolo sul tema, l’incentivo economico non è sufficiente da solo a motivare i dipendenti. Secondo Daniel H. Pink, autore di Drive: la sorprendente verità su ciò che ci motiva nel lavoro e nella vita, i fattori chiave per la motivazione sul lavoro sono l’autonomia nella gestione degli incarichi, le opportunità di crescita professionale e la condivisione dei valori aziendali.

Una recente indagine EasyHunters sembra confermare quanto sostenuto da Pink: secondo le risposte degli oltre 4.000 intervistati, durante la ricerca di un posto di lavoro, a fare la differenza per i candidati sono, ancor prima dello stipendio: la possibilità di lavorare in remoto (47,1% degli intervistati), l’opportunità di continuare la formazione professionale (il 30,7% degli intervistati lo considera l’aspetto più importante), l’atmosfera e l’ambiente di lavoro (23,8%) e infine i pacchetti di benefit e le convenzioni (16,2%).

L’opportunità di lavorare in remoto viene vista da molti come una dimostrazione di interessamento da parte delle aziende nei confronti delle esigenze dei dipendenti, spesso costretti a destreggiarsi fra lavoro e impegni familiari, e la maggior parte degli intervistati (44,9%) ha dichiarato di essere intenzionata ad approfittare di questa modalità di lavoro saltuariamente e solo in caso di necessità.

Per quanto riguarda la richiesta di maggiori opportunità di formazione, essa testimonia la forte consapevolezza da parte dei lavoratori italiani della necessità di una continua crescita professionale, che purtroppo non viene incoraggiata adeguatamente dalle aziende, come rilevato anche da una recente indagine ISTAT, dalla quale è emerso che il 74% delle aziende italiane non ritiene necessario investire nella formazione dei propri dipendenti.