Autonomi e piccoli imprenditori italiani fra i più tartassati dal fisco

Autonomi e piccoli imprenditori italiani fra i più tartassati dal fisco

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Un’indagine della CGIA di Mestre ha rivelato che i lavoratori autonomi e le piccole imprese pagano più tasse delle grandi e medie aziende.

La pressione fiscale su imprenditori e autonomi

L’Associazione Artigiani e Piccole Imprese di Mestre (CGIA) ha pubblicato i risultati di un’indagine in cui ha esaminato il contributo fiscale ed economico dei lavoratori autonomi e delle piccole e medie imprese. È emerso che nel corso del 2018 queste due categorie hanno versato complessivamente al fisco 42,3 miliardi di euro, pari al 53% di tutte le imposte versate. Il resto delle imprese di medie e grandi dimensioni ha versato meno di 40 miliardi di euro complessivi, contribuendo per il solo 47% del totale.

Il coordinatore dell’ufficio studi di CGIA sottolinea, nel comunicato stampa, come le grandi aziende abbiano molte più possibilità di eludere il fisco, ricordando come lo stesso Fondo Monetario Internazionale abbia calcolato che «il mancato pagamento delle imposte da parte delle grandi multinazionali sottragga all’erario italiano circa 20 miliardi di euro l’anno». L’indagine di CGIA evidenzia anche la necessità, da parte del governo, di prestare particolare attenzione agli eccessivi oneri fiscali imposti alle micro e alle piccole imprese, soprattutto alla luce del ruolo che queste giocano all’interno dell’economia del paese.

 

Il peso delle PMI sull’economia italiana

Se fino alla prima metà degli anni ’80 erano le grandi aziende a ricoprire un ruolo chiave all’interno del sistema economico italiano, adesso il peso delle aziende con più di 250 dipendenti si è drasticamente ridotto e sono invece le PMI a trainare l’economia. A dirlo sono i numeri: le PMI rappresentano il 99,9% delle quasi quattro milioni di imprese italiane e sono responsabili per il 68,1% del fatturato totale. Anche per quanto riguarda la creazione di valore aggiunto il contributo delle PMI è maggioritario, con il 67,3% del totale rispetto al solo 32,7% delle aziende di grandi dimensioni.

Le PMI non costituiscono solo numericamente il motore dell’economia, ma giocano anche un ruolo di primo piano nell’occupazione: il 78,6% degli occupati italiani è dipendente di una PMI, soprattutto nel settore dei servizi, contro il solo 21,4% occupato dalla grandi imprese. Come recentemente [sottolineato anche nell’ambito del progetto europeo SMEdata][PERMALINK: GDPR e trattamento dei dati: seminari gratuiti per PMI e professionisti ], le PMI ricoprono un ruolo fondamentale per lo sviluppo economico degli Stati dell’Unione proprio perché rappresentano una delle principali fonti di impiego per i lavoratori europei.

 

Oltre un terzo delle imprese chiude in 4 anni

Secondo i dati di Infocamere, il 37% delle imprese italiane aperte a partire dal 2014 ha chiuso entro quattro anni, a causa sia delle difficoltà date dal rallentamento generale dell’economia che della pressione fiscale che pesa sulla categoria. Ma stando ai dati di un precedente rapporto a cura di CGIA, la crisi delle piccole imprese dura ormai da almeno un decennio soprattutto nel comparto delle imprese artigiane: se fra il 2017 e il 2018 il numero di imprese artigiane è sceso del solo 1,2%, rispetto al 2008 la caduta registrata è stata dell’11,3%.

Anche per quanto riguarda il settore delle costruzioni, il presidente dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili (ANCE) ha lanciato l’allarme sulla situazione di estrema difficoltà in cui si trovano le piccole imprese: oltre alla pressione fiscale, uno degli ostacoli principali che le PMI si trovano a fronteggiare è quello della scarsa disponibilità di credito da parte degli istituti bancari. Le piccole e medie imprese vengono infatti considerate più rischiose rispetto alle aziende di grandi dimensioni e la crisi del credito bancario ha fatto sì che i prestiti alle PMI si siano ridotti complessivamente di oltre 57 miliardi di euro.

 

Pressione fiscale alle stelle

Gli eccessivi oneri imposti ad autonomi e piccole imprese sono in realtà il riflesso di una crescita della pressione fiscale in atto in tutto il paese e in tutti i comparti dell’economia: sempre secondo la CGIA di Mestre, la pressione fiscale sui contribuenti ‘onesti’ sarebbe arrivata al 48% nel nostro paese, a dispetto di un dato ufficiale che si attesta sul 42,1%. Il fenomeno sarebbe dovuto, almeno in parte, all’impatto dell’economia ‘sommersa’ e del lavoro nero, che pesa sulle spalle dei cittadini che rispettano i propri obblighi fiscali. La stessa introduzione della fatturazione elettronica obbligatoria, entrata in vigore a gennaio 2018, è un tentativo di guadagnare terreno nella lotta all’evasione fiscale. Per il momento, tuttavia, i cittadini italiani continuano a pagare più tasse di qualsiasi altro europeo: il centro studi di CGIA ha infatti calcolato che nel corso del 2018 gli italiani hanno versato 33,4 miliardi di euro di tasse in più rispetto alla media europea, pari a quasi 2 punti di PIL nazionale. Come ricorda il segretario di CGIA, Renato Mason, «Con un peso fiscale opprimente (…) è diventato sempre più difficile fare impresa, creare nuovi posti di lavoro e redistribuire la ricchezza».