Quanto lavorano gli italiani? Lo rivela il nuovo rapporto OCSE
- Imprese e Professionisti
L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ha recentemente diffuso i nuovi dati relativi alle ore di lavoro annuali dei 35 paesi membri, che comprendono 22 stati dell’Unione Europea su 28, oltre ad Australia, Canada, Corea del Sud, Giappone, Messico, Nuova Zelanda, Regno Unito, Russia e Stati Uniti.
I dati del rapporto OCSE sulla media annuale di ore lavorate
I dati sugli orari di lavoro medi in ciascuno dei paesi membri dell’OCSE vengono aggiornati ogni anno dal 1950 e si riferiscono alla media annuale di ore lavorate, che l’OCSE definisce come il quantitativo di ore effettivamente lavorate in un anno diviso per il numero di persone che risultano occupate, contando fra le ore di lavoro effettive anche gli straordinari, retribuiti e non.
Secondo i dati raccolti, in Messico si lavora più a lungo che in qualsiasi altro paese OCSE: il lavoratore messicano passa in media al lavoro 2.255 ore all’anno, pari a oltre 43 ore settimanali. A seguire, nella classifica dei paesi in cui si lavora di più, si trovano Costa Rica (2.212 ore), Russia (1.974), Cile (1.974 ore) e Polonia (1.928).
In Europa il primato per il maggior quantitativo di ore lavorate spetta alla Grecia, con una media di 2.035 ore annue per lavoratore, mentre la Germania chiude la classifica con sole 1.363 ore di lavoro annuali. E l’Italia? I lavoratori italiani, con una media di 1.730 ore all’anno (circa 33 ore settimanali), si piazzano a metà della classifica, appena al di sotto della media OCSE di 1.760 ore. Sotto la media OCSE si trova anche il Giappone, con 1.713 ore lavorative medie all’anno, nonostante il luogo comune che vede i lavoratori giapponesi come dei veri e propri stacanovisti.
Lavorare troppo a lungo influenza negativamente la produttività
Come ammonisce anche il testo che accompagna il rapporto, i dati sulla media di ore lavorate non dovrebbero essere usati come base per valutare l’andamento della produttività annua, ma piuttosto analizzati al fine di individuare tendenze generali. Quali sono le tendenze messe in luce dai dati diffusi dall’OCSE? La più visibile è che il rapporto fra le ore lavorate e il livello di benessere economico del paese è inversamente proporzionale: i paesi più ricchi sono anche quelli dove si lavora di meno.
Germania, Svezia, Danimarca e Olanda sono fra i paesi con la più bassa media di ore di lavoro annue, ma secondo dati dell’International Monetary Fund sono anche fra i 20 paesi più ricchi del mondo. Questo perché lunghi orari di lavoro non coincidono necessariamente con un’alta produttività. Al contrario, una ricerca condotta dall’Università di Melbourne ha evidenziato che, per massimizzare la produttività, le ore di lavoro settimanali non dovrebbero essere più di 25. Superato questo limite, calano le capacità cognitive, la memoria e la concentrazione e di conseguenza anche la produttività del lavoratore. Non solo: chi lavora 50 o più ore a settimana ha un rischio del 33% più alto di ictus e un rischio cardiovascolare più alto del 13% rispetto a chi lavora fra le 35 e le 40 ore settimanali.
L’influenza dei fattori economici, culturali e socio-politici
È importante sottolineare che nei paesi con un elevato numero di ore lavorate e un basso PIL, come Messico e Costa Rica, sono spesso concentrate produzioni dallo scarso valore aggiunto, ad esempio nel settore agricolo e tessile, che a parità di tempo impiegato risultano in un fatturato minore. Ma, come evidenziato in un editoriale del World Economic Fund, a influire sulle ore di lavoro sono anche fattori culturali e socio-economici: in Messico, una legislazione sul lavoro antiquata e il timore per l’alto tasso di disoccupazione che ha caratterizzato gli ultimi decenni minacciano i diritti dei lavoratori, che spesso sono costretti a lavorare più a lungo delle 48 ore settimanali massime consentite per legge.
In Italia, nonostante le ore di lavoro annue per ciascun lavoratore siano quasi 400 in più rispetto alla Germania, la produttività rimane bassa: secondo i dati ISTAT, dal 1995 il tasso medio annuo di crescita della produttività italiana è stato del solo 0,3%, rispetto a una media europea del 1,6%. Le cause? Una scarsa efficienza nell’organizzazione del lavoro, infrastrutture inadeguate, tecnologie arretrate e mancanza di investimenti.