Lo stato del lavoro freelance in Italia

Lo stato del lavoro freelance in Italia

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Un recente articolo del Sole24ore sullo stato del lavoro autonomo ha definito l’Italia “il Paese dei freelance”. Stando ai dati Eurostat relativi al 2015, infatti, i lavoratori autonomi in Italia sono oltre 3,6 milioni, quasi il doppio rispetto ad altre nazioni europee come la Germania, che conta poco più di 2,2 milioni di freelance, e la Francia, che non supera i 2 milioni.

Il primato italiano non riguarda soltanto il numero di lavoratori autonomi presenti nel paese: l’Italia è al primo posto anche per percentuale di freelancer sui lavoratori totali. Lo Human Capital Report del 2016, commissionato dal World Economic Forum, ha infatti evidenziato che la percentuale di lavoratori freelance in Italia è pari al 4% della forza lavoro, quasi il doppio rispetto alla maggior parte degli stati europei, nonché a Stati Uniti, Canada e Regno Unito.

La crescita dei lavoratori freelance non è un fenomeno nuovo, né limitato alla sola Italia: la rivista Forbes, ad esempio, prevede che entro il 2020 i freelancer rappresenteranno il 50% della forza lavoro negli Stati Uniti. Tuttavia, la situazione italiana resta piuttosto anomala, soprattutto in considerazione dell’incredibile varietà di profili lavorativi raggruppati sotto la definizione di lavoratore autonomo, che in Italia comprende braccianti agricoli, così come creativi e artisti, ma anche avvocati e commercialisti.

Forse è proprio nelle contraddizioni giuridico-fiscali che regolano il lavoro autonomo in Italia che va ricercata l’origine di questa anomalia: Eurostat definisce freelancer il “lavoratore autonomo senza dipendenti“, ma questa descrizione non rispecchia la natura del lavoro autonomo in Italia, che troppo spesso assume i tratti del lavoro dipendente pur mantenendo una facciata freelance.

In Italia, infatti, non sono rari i casi di freelancer che si trovano in condizioni equiparabili a quelle di un dipendente, con la totalità del lavoro proveniente da un unico cliente, retribuzioni minime e poche tutele. Anche per questo motivo, in seguito all’entrata in vigore della Legge di Riforma del Mercato del Lavoro del 2012, lo Stato Italiano ha fornito alcune importanti indicazioni in merito alle partite IVA, nel tentativo di smascherare i ‘finti’ freelancer, spesso costretti a questo inquadramento lavorativo da clienti desiderosi di risparmiare sulle spese legate all’assunzione di un dipendente.

Si tratta di un fenomeno messo in luce già dal rapporto dello European Forum of Independent Professionals, in cui si legge: “L’Italia rappresenta un caso particolare per quanto riguarda il lavoro dipendente e il lavoro autonomo. Abbiamo già sottolineato come un autentico freelance non possa trovarsi in una posizione di subordinazione, eppure molti freelancer italiani corrono il rischio di trovarsi in uno stato di para-subordinazione, in cui lavorano per un unico cliente ed è assente qualsiasi caratteristica di imprenditorialità”.

A dispetto della situazione non incoraggiante, cresce, tuttavia, il numero di giovani italiani che scelgono la carriera freelance in cerca di una maggiore autonomia e flessibilità: al momento, i lavoratori con meno di 40 anni rappresentano il 35% dei freelancer italiani, un primato europeo battuto dalla sola Slovacchia, con il 43,9%. Una crescita, questa, che coinvolge anche i liberi professionisti, come evidenziato dall’aumento degli iscritti agli ordini professionali (+21,7% dal 2006).

La sfida del futuro, per i lavoratori così come per le istituzioni, sarà tenere il passo con un mercato del lavoro che si sposta sempre più verso il lavoro autonomo, a scapito dei tradizionali rapporti lavorativi che hanno caratterizzato il panorama italiano fino a oggi, anche grazie alle innovazioni tecnologiche che rendono il lavoro sempre meno legato all’ufficio o alla scrivania. Una cosa è certa: anche in Italia, il futuro del lavoro sarà freelance.